CHIESE E LUOGHI

  • L'esterno:

    La Facciata:

    La facciata è tripartita tra due estremi pilastri quadrati e due interni semicircolari che passano a quadrati prolungandosi in su per chiudere l'alto frontone; ne accentuano lo slancio le cinque guglie ottagonali.
    Imponenza ingentilita dalle cornici archeggiate e dalle gallerie cieche coronanti i due ordini, come pure dalle tre nicchie del frontone con altrettante statue della Vergine, di S. Fermo e S. Rustico, mentre altre tre sono alla base della guglia più alta.
    Sottili lesene s'alzano e s'incurvano a guarnire i vuoti. E si armonizzano pure il rosone e le due finestre circolari con le tre porte: quella centrale col profondo e complicato sguancio delle cordonature, e le due laterali, ancora più tarde ma indici di continue cure.
    Nella lunetta del portale, la Vergine col Bambino e i Ss. Fermo e Rustico è un affresco di Giovanni Moriggia.

    La Torre Campanaria

    Di fianco alla facciata del tempio sorge la torre campanaria, che con i suoi 71 metri di altezza sfugge a un colpo d'occhio complessivo. 
    C'era in antico un campaniletto, ma ogni tempo vuole la sua gloria e i Veneziani, appena iniziato il loro decennio di potere su Caravaggio e la Geradadda (1499-1509), fondarono questa torre non senza imposizioni di contributi alla popolazione, illusa di trovarsela regalata. 
    Una lapide alla base ricorda che il 29 giugno 1500 fu posta la prima pietra. Sopraggiunti i Francesi, la fabbrica venne interrotta nonostante la necessitá di provvedere alla sistemazione delle campane, la cui torretta provvisoria minacciava rovina.
    Due o tre sono le riprese fino al 1710, anno in cui si arrivò al parapetto della cella campanaria. Questa venne rialzata negli anni 1911-12 e coperta provvisoriamente con un tetto a quattro spioventi non potendosi allora procedere alla completa esecuzione del progetto di Angelo Bedolini approvato giá nel 1894 dal soprintendente Luca Beltrami. Anche Luigi Cavenaghi caldeggiava l'impresa, di cui animatore era l'infaticabile arciprete don Leone Leoni.
    Non possiamo sapere se abbia pesato, e quanto, sul progetto Bedolini, un disegno (o copia di esso) scoperto di recente presso l'Archivio di Stato di Roma. II disegno, del 1592, era stato mandato dal costruttore caravaggino Lorenzo Gallonzello a un parente di Roma insieme con una pianta della nostra parrocchiale ora introvabile.
    II destinatario del disegno era forse in procinto di lavorare con Francesco da Volterra alla ricostruzione della chiesa dell'ospedale di S.Giacomo in Augusta, iniziata negli ultimi anni del '500 e poi finita dal Maderno. Le analogie col progetto Bedolini sono evidenti. Per poco che si debba trarre dal confronto, notiamo che fin d'allora si carezzava l'idea di un'edicola ottagonale con pinnacchi ai quattro angoli della balaustrata e il cupolino piú tendente all'acuto. Comunque, il "finimento" si ebbe nel 1932 per opera di Carlo Bedolini (figlio dell'autore del progetto), con l'intento di abbinarne l'inaugurazione alle feste del centenario mariano. La mole si alza per quattro piani "bramanteschi" che poggiano su una solida base. Un corpo monolitico appena segnato da quattro lesene per ogni piano e leggere figure geometriche. Purtroppo l'edicola sovrapposta a coronamento della torre, nonostante le sue eleganze viste in particolare, apparve subito discordante allo stesso Bedolini, che propose un elemento di raccordo a foggia di tamburo con balaustrata per alzare la torre nascondendo parte dell'edicola. La correzione non fu realizzata, ma ne abbiamo uno "Schizzo per studio di modifica" (del 15 settembre 1932) a firma del capomastro Mario Pernigoni interprete dell'insoddisfazione dell'architetto. É chiaro che l'intento dei Veneziani non era di armonizzare la torre, così massiccia, con la chiesa accanto, bensì di mostrare potenza e di ricordare, anche qui, il loro San Marco.

    L'interno:

    Ben diversa é l'impressione che si prova entrando nel tempio, dove dell'antica architettura lombardo-gotica non si intravede che un "assaggio" recentemente operato nei primitivi pilastri polistili e, negli archi delle volte, una tendenza all'acuto non potuta reprimere dalle nuove strutture.

    La stessa impressione di chi avesse visto l'interno del duomo di Crema prima che fosse liberato dal rivestimento settecentesco. Negli anni dal 1777 al 1798, invece delle riparazioni che il vecchio edificio richiedeva, si volle da alcuni amministratori la trasformazione nel barocco che vediamo, contro il parere della maggior parte dei caravaggini. II progetto di "rimodernazione" è del piemontese Fabrizio Galliari, pittore scenografo cui veniva pure affidata la ristrutturazione del presbiterio e del coro.

    Chiusi i pilastri in paraste a capitello corinzio e foderate le volte per collocarvi grandi medaglie da istoriare. La pianta della chiesa, che potremmo dire impropriamente a croce latina, presenta tre navate, di cui la centrale si divide in cinque campi e le laterali in altrettanti che si aprono ad ampie cappelle.

    Novità del presbiterio è l'alta cupola con finestroni ai due lati e quattro trombe o nicchie agli angoli con altrettante statue. Complesso non privo di arditezza ma un po' macchinoso e in contrasto col fondo neoclassico del coro.

    Le quattro statue plasticate, purtroppo quasi invisibili, raffigurano gli evangelisti S. Matteo, S. Marco, S. Luca, S. Giovanni: piú arricchimento dell'architettura che opere d'arte a se stanti. Lo Stroppa scrive che nel corso delle modifiche operate tra il 77 e il '98 "furono create le cappelle attuali" . Queste invece esistevano dal tempo della ristrutturazione quattrocentesca della chiesa, corrispondenti, d'altronde, alle ali spioventi della facciata aggiunte nella trasformazione dalla dugentesca forma a capanna.

    Anche le cappelle subirono cambiamenti, ma, indice della loro esistenza in secoli anteriori al Settecento, restano ancora molte dedicazioni e, nella terza a sinistra, decorazioni murali. Lunghe lapidi tombali, purtroppo asportate (e vendute) ma disposte in senso diretto tra gli altari e l'ingresso alle cappelle, testimoniavano, fino agli inizi del nostro secolo, degli antichi sepolcri intestati a illustri famiglie del borgo.  

    Le Figurazioni Bibliche di Federico e Carlo Ferrario nelle volte: 

    Appena terminato il rivestimento delle volte, approfittando del ponteggio, venivano eseguiti gli affreschi delle sedici medaglie nell'alto delle campate.

    Ne erano stati incaricati i pittori milanesi Federico Ferrario e Carlo suo figlio, validi artisti giá conosciuti anche nel Bergamasco e scelti dalla Fabbriceria dopo le prove offerte dagli stessi, a Caravaggio, nelle chiese di S. Giovanni e di S. Rocchetto: prove che non si vedono piú perché nella prima sono state coperte e nella seconda distrutte con tutto l'edificio. 

    Quanto ai nomi dei pittori, indicati imperfettamente in passato, non c'é piú dubbio grazie a piú attente ricerche. Va peró ricordato, a scanso d'altri equivoci, che il nome di Carlo si ripete a Milano per altri Ferrario, pure artisti e magari dello stesso casato.

    L'opera dei Ferrario a Caravaggio merita attenzione per la destrezza compositiva e la luminosità, per cui il colore, che altrove questi pittori accendono maggiormente, assume qui tonalità morbide e delicate, distinguendosi in accenti di piú lontano sentire.

    Evidente è infatti l'influenza del praghese Reiner, che in Italia aveva appreso e lavorato avvicinando Andrea Pozzo e osservando assai da vicino Pietro da Cortona. Potrebbero sembrare eccessivi questi richiami, ma non lo sono, perché si notano bene ariositá e spunti risalenti rispettivamente ai tre maestri.

    Alcune di queste medaglie appaiono meno curate, altre sciupate dall'umidità o velate dal pulviscolo.

    Nel 1931 furono pulite dal pittore Luigi Pastro, ma la tinta verde circostante ridata alle vele sembrò subito troppo opaca rispetto alla primitiva. Luigi Cavenaghi, vantando, com'era solito, i decoratori del Sei e del Settecento, ammirava pure queste immagini "fatte di mestiere e di poesia insieme", tanto piú cari quanto meno graditi i modi dell'accademia neoclassica da tempo incominciata. Gli affreschi traggono ispirazione da fatti biblici.

     

  • La chiesa:

     
    Dopo la Chiesa parrocchiale e il Santuario mariano viene, per importanza religiosa e artistica, 1’oratorio di S. Bernardino da Siena. Anche cronologicamente. Infatti fu consacrato 1’anno 1489, pur essendosene ventilata 1’erezione appena dopo la morte del santo (1444) e la quasi immediata canonizzazione (1450) da parte del pontefice Nicolò V. Tra il 1456 e il 1457 è già in atto uno scambio di lettere del duca di Milano col Vescovo di Cremona. Per quanto si dica, promotrice non poteva essere che la popolazione di Caravaggio entusiasmata dalla predicazione ardente e originale dell’Albizzeschi, che aveva affrontato anche la Lombardia e tra Caravaggio e Treviglio aveva combinato una pace piuttosto difficile lasciandovi adepti della riforma francescana. L’intervento dei Secco e il beneplacito milanese degli Sforza fecero il resto, non senza tuttavia il contributo dei cittadini in offerte di denaro e di manodopera, nonchè di artisti caravaggini come lo Stella e i Moietta, ai quali si deve gran parte del1’incanto che 1’oratorio ancora esercita sui visitatori. Incanto, s’immagina, dimezzato dalle conseguenze della soppressione napoleonica per vendite, dispersioni e noncuranze, nonostante la buona sorte; per Caravaggio, di aver trovato nel suo cittadino Giuseppe Mariani un acquirente disposto a conservare forse il meglio, se non il più,e a donarlo in seguito all’Ospedale del borgo. I fratelli Antonio e Stefano Secco avevano ceduto il terreno su cui costruire la chiesa e il convento per i ”frati minori” di S. Bernardino, e la fabbrica ebbe inizio nel 1472. Consacrata la chiesa nel 1489, incominciò ad essere abbellita nonostante le contese per 1’occupazione da parte di questo o quel ramo dei frati francescani. L’edificio in complesso segue il modello tradizionale dell’edilizia francescana improntata a semplice praticità. La chiesa è un gran salone con tre cappelle a sinistra e due di fronte, tra le quali un piccolo atrio mette al presbiterio e al coro, cui si affiancano la sagrestia e il breve campanile quadrato. Architettonicamente le forme decorative sono ridotte al minimo: 1’attrattiva è lasciata alla pittura, libera di coprire anche i costoloni delle volte. Se per la facciata 1’affetto alle proprie cose può far pensare a esempi di autori assai noti, come i Solari, o a maestranze locali come i Vacchi (o delle Vacche), e pur difficile sottrarre all’anonimato il progettista dell’oratorio di S. Bernardino, anche perchè, qualora ne uscisse un nome sicuro, si ricadrebbe nel buio del ripetitivo voluto dai canoni. Sembra perfino che 1’ordine dei Minori osservanti prescrivesse un modello di chiesa e convento fissato dallo stesso S. Bernardino. A ll’esterno noteremo dunque la sobrietà di un nudo apparato murario a due spioventi con due alte finestre centinate ai lati e un occhio centrale sormontato dal simbolo bernardiniano. Soli aggetti i pilastri che determinano la facciata; soli ornamenti le strombature delle finestre e del portale, e la frangia di archetti lobati che corre sotto la linea del tetto. Il pronao, non inelegante, e un’aggiunta settecentesca, ma nella lunetta sopra il portale 1’Adorazione dei pastori e un’ombra, ormai troppo smunta e ritoccata, di un affresco di Fermo Stella. Entrando in chiesa si ha una sensazione di mistico e di antico insieme conciliato forse dal ciclo pittorico della parete frontale, e ininterrotta, perchè anche le cappelle hanno tutto di un’epoca non più nostra, nonostante gl’interventi di restauro del 1944, che in tutta la Chiesa abolirono, per esempio, il canonico pavimento di calcestruzzo. Il soffitto ligneo dell’aula maggiore si presenta ora a travi ornate di motivi secenteschi, ma, al di la dell’atrio, nella ”chiesa dei frati”, 1’ossatura torna ad essere con molta evidenza lombardo-gotica sebbene mascherata dalla estrosa decorazione settecentesca. 

    Ciclo della Passione:

    Il ”Ciclo della Passione”, che subito s’impone allo sguardo, e incontestabilmente del caravaggino Fermo Stella, che lo affrescò nel 1531. Per tutto l’Ottocento 1’opera era passata sotto il nome del suo compaesano e contemporaneo Francesco Prata, ma con forti dubbi. Nel 1963, visitando la cappella gentilizia del palazzo Besta a Teglio in Valtellina, ho potuto constatare come tutto, di là, lo Stella abbia ripetuto a Caravaggio, quattro anni dopo, nel quadro centrale della Crocifissione. Gli episodi laterali, ossia 1’Ultima Cena, Gesù davanti a Pilato, la Cattura di Gesù e la Risurrezione, ripetono pur essi i modi e le caratteristiche dello Stella ”gaudenziano”, aiuto cioè di Gaudenzio Ferrari a Varallo. E così pure le otto Sibille che chiudono la vasta parete, e gli otto Profeti tra gli archi. Pitture di grande efficacia didattica rimaste le più fresche del1’oratorio, le meno provate dal tempo. La grazia dello Stella giovane nella ”Madonna col Bambino tra S. Bernardino e S. Rocco”, che vediamo pure in questo oratorio, s’e qui evoluta in vivacità di movimento e di colore, ma lo spirito è sempre quello di Varallo: schietto e comunicativo, ingenuo ma forte, e personale nonostante 1’insistente influsso del maestro. Le analoghe rappresentazioni in altri santuari (come Ivrea, Borno, Lugano) e di altri autori, non hanno nulla da spartire con lo Stella a Caravaggio se non il tradizionale schema dispositivo degli episodi. 

    Presbiterio:

    Il presbiterio, o ”chiesa dei frati”, al di la dell’atrio, si allieta di una luminosità che i fratelli Galliari hanno contribuito a rendere festosa con le loro finte architetture. La struttura originale ad alta ogiva appena segnata dai costoloni è piena di fiori e di volute settecentesche che molto s’intonano con 1’altare rococò, in curioso contrasto coi principi stilistici dei francescani. Anche 1’ancona e 1’immagine del coro, affrescati rispettivamente da Bernardino e Fabrizio Galliari, assolvono il compito di aggiornare 1’ambiente al decorativismo dell’epoca (1759). Il primo raffigura, nel coro, S. Bernardino che rifiuta la dignità episcopale, e un altro Santo minorita, e nelle medaglie sulle paraste laterali all’altare S. Giuseppe con Gesù infante e S. Anna con Maria bambina. Grazia, qui, anacronistica, ma bell’esempio di come si può mistificare 1’antico con una certa bravura e quindi quasi impunemente. La sagrestia aveva un lungo banco-armadio di noce tardocinquecentesco contenente molti reliquiari di legno assai bene scolpiti. Il primo fu venduto dall’Amministrazione dell’Ospedale (allora proprietario della chiesa) nel 1950; i reliquiari sono custoditi nella chiesa parrocchiale. Dopo la soppressione napoleonica il passaggio ai diversi pretendenti e la noncuranza derivante dall’abbandono hanno favorito un’indegna dispersione di oggetti d’arte, di libri preziosi, di manoscritti. I restauri del 1944 hanno certamente operato urgenti riparazioni e consolidamenti, ma anche sottratto caratteristiche insostituibili con pretenziose aggiunte. Scomparvero affreschi esterni (sul lato nord della chiesa) e un bel quadro di S. Gerolamo nella seconda cappella. Scomparvero le due vetrinette che proteggevano la ”Madonna” dello Stella e il ”S. Francesco” del Moietta. Attualmente vediamo alle pareti dell’aula grande 1’Apparizione di Cristo a S. Carlo e S. Rocco, S. Salvatore guarisce gli ammalati, S. Giuseppe da Copertino, S. Francesco e il già ricordato S. Pasquale Baylon. Opere minori sono rimaste nel presbiterio o conservate altrove. La soppressione del Convento di S. Bernardino avvenne il 26 giugno 1798 per decreto della Repubblica Cisalpina. Vi furono forti reazioni, alle quali non aveva potuto o voluto resistere, in precedenza, il governo austriaco, che aveva tentato una simile impresa. Lo scopo non era tanto di impiegare i beni delle comunità religiose in diverse istituzioni civili, quanto di procurarsi denaro per necessita militari e burocratiche (per tacere di predazioni di opere d’arte specialmente da parte dei francesi). Ma poichè al1’invasore stava soprattutto a cuore la pace delle popolazioni, il primo acquirente del S. Bernardino, Cesare Fara, fu invitato a rinunciare al contratto in favore di Giuseppe Mariani, che sborsava il prezzo della chiesa e del convento (”lire 18.865,1 7 ch Milano”) con la promessa, non smentita (1º maggio 1805), di lasciarne ai frati il libero uso. Spiegava infatti la commissione governativa della Cisalpina: ”...è indifferente alla Nazione che i frati rimangano nel Locale di S. Bernardino presso Caravaggio finchè piace al Mariani subingresso all’ Azionista Fara, purchè la Nazione stessa venga a percepire il prezzo del Locale medesimo... ”. La comunità di S. Bemardino, anche più ridotta di numero, continuo stentatamente la sua vita sopportando le intromissioni sempre più gravose dell’autorità governativa, prima austriaca e poi italiana. Durante la campagna del 1859 convento e chiesa vennero occupati da soldati francesi, italiani e zuavi. Il colpo finale si ebbe, a Italia unificata, con le definitive soppressioni del 1866. Il convento divenne casa colonica. A custodire la chiesa rimase fra’ Serafino da Caravaggio, che mori nel 1901.
  • Le cappelle

    Prima Cappella:

    Veniamo a una rassegna più particolare e proprio cominciando dalla prima cappella, che fu anche la prima ad essere istoriata. La Nativita, 1’Adorazione dei Magi e la Risurrezione, affrescate sulla parete sinistra e ormai del tutto sciupate dall’umidità, sembrano appartenere a pittori della cerchia dello Zenale e del Butinone e probabilmente caravaggini. A diverso autore bisogna assegnare invece 1’Ascensione, laDiscesa dello Spirito Santo e 1’Assunzione dipinte sulla destra: autore sempre lombardo, ma più incline al Foppa e al Bergognone. E al medesimo artista potremmo assegnare anche i tondi delle vele della volta, accennati per ultimi ma probabilmente primi ad essere eseguiti: S. Francesco d’Assisi, S. Lodovico, S. Bernardino da Siena, S. Chiara, Beato Bernardo, Beato Antonio di Cremona, S. Raimondo, S. Bonaventura, S. Antonio di Padova. Tutte opere ingenue per il loro tempo, che non dovette oltrepassare di molto la fine del Quattrocento, ma d’un misticismo sincero. Nella stessa cappella la settecentesca tela della Immacolata, sopra 1’altare, sostituisce un altro dipinto necessariamente molto anteriore, che potrebbe essere la Madonna in trono col Bambino e S. Giovannino tra i santi Francesco, Gerolamo, Elisabetta e un devoto, ora nel palazzo comunale, ma sicuramente eseguito per la chiesa di S. Bernardino dove la videro alcuni storici tra cui anche Cesare Cantù. Sfuggita alla vendita per merito dell’azionista caravaggino Giuseppe Mariani, la tavola era passata all’Ospedale locale, proprietario della chiesa per donazione dei Secco, e quindi al Comune. E’ di Nicola Moietta, firmata: ”NICOLAUS CARAVAGINUS PINXIT-MDXXI”. Per quanti maestri milanesi si vogliano citare, certamente ammirati dal Moietta, la composizione s’imposta sulla Madonna della Vittoria del Mantegna, ora al Louvre, che il Moietta potè vedere come ospite di lavoro a Mantova insieme coi primi Ghisoni chiamati da Caravaggio al servizio dei Gonzaga. Non è qui il caso d’insistere sul monumentale, lo smaltato e il plasticismo dell’opera, ma farò notare ancora la scenetta che si scorge tra la Madonna e il S. Giovannino, opportuno ricordo dell’attivita commerciale, in Oriente, del donatore del quadro, probabilmente un Secco. Sul muro tra la prima e la seconda cappella un dipinto anch’esso dei più antichi è la Vergine col Bambino tra S. Bernardino da Siena e S. Rocco, opera giovanile di Fermo Stella. 

    Seconda Cappella:

    La seconda cappella si presenta compiuta soltanto nella parte superiore nonostante vi fosse già preparata nel 1487 la tomba per la famiglia del titolare Bartolomeo Cattaneo. La cappella infatti è dedicata a S. Bartolomeo, al quale si riferiscono diverse scritte: ”Ad honorem sancti Bartholomei”, ”Si quaeris miracula...”, ”facto et feretro”. La statua di S. Antonio di Padova nell’ancona lignea secentesca indica una devozione venuta dopo. L’aspetto disorganico dell’insieme, con il finto addobbo barocco aggiunto durante i restauri del 1944 e, dello stesso anno, gli Angeli con festoni di Ferruccio Baruffi, non può distogliere lo sguardo dagli Evangelisti dipinti nelle vele, specialmente dal robusto S. Matteo di Nicola Moietta (1630 ca.), che di gran lunga si distingue dal figlio Vincenzo autore del S. Marco, S. Luca, S. Giovanni e di un Angioletto nel sottarco, al quale e accanto una targa con la data ”1576”. Anche i quattro festoni del sottarco sono di Vincenzo. Ancora di Nicola Moietta e il S. Francesco affrescato tra la seconda e la terza cappella. La data che potremmo assegnare a questo dipinto è la stessa della tavola con la ”Madonna col Bambino e Santi” della prima cappella per qualche analogia formale. Ma troppo poco abbiamo anche di Nicola per poter azzardare date più precise.

    Terza Cappella:

    Del tutto disadorna era rimasta la terza cappella, salvo un non trascurabile affresco per pala d’altare, raffigurante la Madonna col Bambino tra S. Antonio di Padova e S. Gerolamo (ora, staccato e intelato, visibile nella controfacciata del presbiterio). Sopra 1’affresco, in ancona lignea, era poi stata posta una tela con S. Pasquale Baylòn adorante il SS. Sacramento. Rimossa la tela e venduta 1’ancona secentesca nel 1948, il pittore Trento Longaretti ispirandosi ai primitivi riempi tutte le pareti di episodi della vita che S. Francesco d’Assisi, che quasi subito risentirono dell’umidità del muro.

    Quarta Cappella:

    Nella quarta cappella (frontale) un antico Crocefisso di legno, unico suo oggetto d’arte, ha sempre attratto i caravaggini in tutte le ore del giorno, alla spicciolata, uomini e donne di passaggio per le faccende quotidiane o per bisogni particolari. I restauri del 1944 hanno alterato il volto del Cristo con una barba posticcia che lo priva dell’esilità e del senso di sofferenza originali. Lo scabroso paesaggio alle pareti è opera del restauratore imitata da quello, veramente antico, che si trova, nella quinta Cappella, nell’ affresco del Ferrari. 

    Quinta Cappella:

    Nella quinta cappella (frontale) si conserva uno dei primi affreschi eseguiti in S. Bernardino, la cui data può essere la stessa che si legge, in grafia dell’epoca, sopra 1’ingresso laterale all’interno. L’affresco è dunque del ”1506”. Rappresenta la Madonna col Bambino tra S. Bernardino, un Santo vescovo e un devoto. Per diversi elementi, di cui scrissi nel 1963 e nel 1976, quest’opera può bene assegnarsi a Cristoforo Ferrari de Giuchis, come le sei tavolette della ”Vita di Maria e S. Giuseppe” ora nel Palazzo comunale: assegnazioni ormai comunemente accolte. L’aspro paesaggio cui si accennava nella Cappella precedente è appunto questo che fa da sfondo alla scena. L’impostazione rigida e piuttosto simmetrica delle figure produce l’efficace immagine del Vescovo e del devoto, la cui incisività merita particolare attenzione. Il Ferrari precede altri pittori caravaggini del Cinquecento, anch’esso portatore di stilemi lombardi tra questi epigoni. Ai quali dobbiamo pure il compunto Ecce Homo affrescato su un pilastro mediano.

  • La chiesa dedicata a Santa Liberata, situata all’imbocco della via Vidalengo, risale ai primi anni del Cinquecento, come testimoniato dalla linea
    architettonica e dagli affreschi degli Apostoli dipinti sulle quattro lunette interne, tipici dello stile lombardo di quel tempo.
    L’oratorio, di piccole dimensioni, con forma esagonale e portico sui soli tre lati meridionali, è caratterizzato al suo interno da una volta a cupola,
    da quattro pareti sormontate da lunette e da cornici in cotto nell'architrave e nella fascia.
    In origine, al posto dell’attuale quadro dell’altare, vi era un affresco, raffigurante La Beata Vergine Maria con le Sante Caterina e Lucia,
    è pertanto ragionevole pensare che la prima devozione che ispirò l'erezione dell'oratorio riguardasse specialmente queste Sante,
    e che l'intitolazione a S. Liberata sia venuta più tardi in seguito a un voto dei Caravaggini "liberati" dal pericolo di una pestilenza passata o incombente.
    All’inizio del Seicento esistevano nell’oratorio quattro dipinti su tela, ormai scomparsi, raffiguranti alcuni Miracoli operati dalla Santa.
    L'ancona lignea, con semicolonne tortili e il timpano spezzato, elegante lavoro da attribuirsi a intagliatori caravaggini attivi allora in diverse 
    chiese del borgo e dei dintorni, si dovrebbe assegnare ad un periodo anteriore al 1674, anno in cui fu dipinta la pala inclusa raffigurante
    la Vergine col Bambino e tre Sante; difficile è comprendere quali sante l’autore dell’opera volesse raffigurare, probabilmente la donna vestita
    regalmente è S. Elena, mentre una delle due monache dovrebbe essere Santa Liberata di Moncenisio, martirizzata nel 580, dopo una vita monastica,
    ma non v’è nulla di certo.
  • All'estrema periferia della città, sulla strada che porta a Vidalengo si erge la chiesa dedicata a San Pietro, costruita in risposta all'esigenza
    di poter disporre di un luogo di culto in un quartiere che tanto si è sviluppato negli ultimi anni. Voluta dall'arciprete mons. don Rino Stellardi e progettata dall’architetto Pasquale Bruno, fu inaugurata il giorno di S. Pietro, il 29 giugno del 1988. Il criterio estetico adottato sembra ispirarsi, più che al modello,
    alla sagoma dell'oratorio di S. Liberata, che è posta all'inizio della medesima strada, con la probabile intenzione di instaurare un legato con l'antico passato. L'edificio, a pianta esagonale, si apre a ventaglio quasi per abbracciare su più lati la zona della sua funzione. Davanti lo cinge un porticato,
    al quale si accede dal vasto sagrato con parcheggio. All'esterno si alternano elementi di mattone e di cemento a vista, l'assetto interno è invece in legno 
    e consiste in un'aula divisa in quattro triangoli convergenti simbolicamente al Tabernacolo del SS. Sacramento, situato nella nicchia in capo al breve presbiterio.
    La chiesa è impreziosita da un antico Crocifisso ligneo, ricordo della demolita chiesa di S. Defendente; da un'Immacolata di terracotta, 
    memoria della chiesa di S. Giovanni; e dal Tabernacolo, che, unitamente all’Altare, testimonia la tendenza neobarocca dello scultore fornovese Mario Toffetti.
    Oltre alla torre campanaria la chiesa di San Pietro è dotata anche di un salone nel seminterrato per le adunanze e di una casa per il sacerdote, affiancata alla chiesa a mezzodì.
  •  
    Sull'angolo tra via Bernardo da Caravaggio e via Gianluigi Banfi sorge la chiesa di S. Elisabetta, la cui attuale costruzione risale al 1626,
    costruzione questa che, come è noto, fu preceduta da un’altra chiesa, a servizio delle religiose di Sant’Elisabetta, eretta molto prima
    del Cinquecento in fianco all’ex-monastero delle Agostiniane (ora Casa Parrocchiale). L’architetto che si occupò della realizzazione dell’edificio
    fu Fabio Mangone, artefice anche della sistemazione del Chiostro antico e dell’aggiunta dell’ampia terrazza a mezzogiorno, mentre la fabbricazione
    dello stesso fu affidata a Marc’Antonio Zoccolane, come atestato dalle lettere scritte al parroco di Caravaggio dall’allora vescovo di Cremona,
    il Cardinal Pietro Campari. I lavori, a causa dello scoppio della peste e della morte del Mangone, andarono molto a rilento,
    e si conclusero solo nel 1669,
    quando la chiesa fu benedetta, per la consacrazione si dovrà attendere il 1674. La chiesa si presenta a noi oggi con la facciata, priva del timpano,
    mai portato a compimento, divisa da quattro lesene e coronata da un cornicione di finissima fattura con aggetto di modanature e modiglioni,
    allargato da due balze sostenute da quattro capitelli ionici ad abaco incavato. Il portale con cappello ad arco spezzato e il finestrone apportano 
    gran luce all'interno della chiesa che si presenta con pianta quasi quadrata, dato che la forma a croce greca è appena accennata dall’ampio sfondato
    delle cappelle laterali. Dai documenti relativi alle visite pastorali del 1674 e del 1685 risulta che inizialmente nella grande ancona lignea,
    posta sopra l’altare maggiore, vi era una tela recante La Visitazione della Vergine, successivamente sostituita da un’altra tela,
    opera di F. Bergometti,
    raffigurante La Sacra Famiglia, tela questa che venne trasferita nella cappella dell'ex-Orfanotrofìo maschile, e il suo posto venne occupato
    da un nuovo quadro con un’altra Visitazione. A quei tempi il lunettone con L’Annunciazione copriva la finestra sovrastante l'ancona e alla destra dell'altare maggiore era situato un piccolo armadio a muro in legno di noce nel quale venivano poste le SS. Reliquie e che ora si trova nel battistero della parrocchiale.
    Nella cappella alla destra dell’altare erano esposte quattro opere raffiguranti: Sant’Agostino, San Tommaso da Villanova, San Guglielmo 
    e Santa Monica,
    opere alle quali si aggiunse il dipinto della Beata Vergine della Consolazione. Nella cappella a sinistra dell’altare vi erano invece una tela con San Nicola 
    da Talentino e un’altra con la Beata Vergine Maria col Bambino, Sant’Agugusto e Santa Monica. Attualmente le due cappelle non hanno che l'altare 
    con le rispettive pale, ossia una Madonna col Bambino tra San Rocco e San Sebastiano e un Sant’Antonio di Padova, quasi sicuramente provenienti
    da chiese di Caravaggio distrutte; mentre sulle pareti laterali della cappella maggiore si trovano due tele: "La Messa di San Bernardo" 
    e "S. Defendente e S. Apollonia". Nella parete di destra della navata centrale è possibile vedere una tela de "Il Martirio di Antonio Maria Ripari",
    missionario di parentela caravaggina.La "chiesa interna", quella riservata alle monache, oggi Coro della chiesa, conserva ancora i preziosi
    stalli in legno di noce.
  • Lungo la via S. Francesco, sotto l’edificio nato come nuovo orfanotrofio maschile e adibito poi a sede di istituti scolastici, 
    sorge la chiesa dedicata alla Sacra Famiglia. Edificata in risposta alle preghiere del defunto don Pierino Crispiatico,
    il quale desiderava avere un oratorio che potesse servire alla sua piccola comunità e alla popolazione delle case vicine.
    Ad impreziosire la piccola chiesa vi è la tela della Sacra Famiglia (di F. Bergamotti),
    in precedenza ospitata dall’oratorio della chiesa di Santa Elisabetta.
  • La chiesa di San Giovanni Battista, ormai sconsacrata, è situatalungo la via Roma in fianco all’ex- ospedale di Caravaggio e venne fatta 
    costruire dai Cistercensi. Questo ordine possedeva il convento e la chiesa dedicati a San Giovanni decollato, che lasciarono dopo
    aver acquistato i possedimenti degli Umiliati ristrutturato gran parte del convento e rifatto la chiesa, in precedenza intitolata
    a S. Pietro apostolo, patrono degli Umiliati, e poi dedicata a San Giovanni Battista, loro patrono. Convento e chiesa, 
    benché a lavori non ultimati, vennero riaperti il 26 maggio 1603 con l'intenzione di far coincidere l'inaugurazione con l'anniversario 
    dell'Apparizione della Vergine a Caravaggio. Con un’architettura in stile più romano che milanese e una piazzetta antistante
    che ne favorisce la visione, la chiesa di San Giovanni al suo interno manteneva una nota di solennità grazie alle alte lesene con capitello composito
    e alla complessa trabeazione col fregio a rilievo plasticato, che scorre sopra le stesse. La vasta aula è leggermente rettangolare
    con due larghi sfondati ai lati, ed è illuminata dalle finestre della cupola e dal fìnestrone frontale. Il presbiterio è piuttosto breve,
    il coro semiottagonale, e l'altare in stile barocco è tutto di marmi intarsiati. Conserva pure un paliotto di scagliola, in cui tra arabeschi di fiori 
    è raffigurata l'apparizione della Vergine, al di sotto del quale sono incisi lo stemma e il nome del donatore "Carlo Tadoldo", con la data 
    di realizzazione e la firma dell'autore "Pietro Solari 1710". Verso la fine del Settecento il pittore Carlo Ferrario, figlio del Federico,
    chiamato in precedenza ad affrescare le tre volte della chiesa parrocchiale, decorò la cupola, i pennacchi e altre parti alte del tempio 
    con varie figure che negli anni intorno al 1950 vennero coperte, fatta eccezione per il dipinto della Assunzione della Vergine rimasto
    intatto al centro del soffitto della sacrestia. Quest’ultima è una sala quadrata di notevole ampiezza, che fu ricca di mobili, in parte passati
    alla chiesa parrocchiale dopo la soppressione, di paramenti sacri e specialmente di libri corali miniati, quasi tutti scomparsi o privati delle
    decorazioni migliori, attribuite alcune al caravaggino Claudio Massarelli prediletto discepolo di Giulio Clovio. La chiesa possedeva numerose pitture 
    oltre alle due tele degli altari laterali, opere evidentemente raccolte da tutto il monastero dopo la soppressione, di queste ricordiamo:
    L’Adorazione dei pastori di un seguace del Molosso, Sant’Agostino che confuta gli errori dei pagani, opera di Giovanni Moriggia, 
    ed ancora: La Madonna del Rosario, Il Sacrificio di Isacco, La Crocifissione, L’Annunciazione.
  • La chiesa, situata nel complesso della Cascina Montizzolo, venne inizialmente eretta con l’intenzione di dedicarla allo sposo della Vergine Maria,
    S. Giuseppe, come attestato dall’iscrizione posta al centro della facciata “Sponso Virginia Mariae Dicatum MDCLXVIII”.
    Al suo interno ospitava una tela con la Vergine e il Bambino tra S. Giuseppe e S. Eurosia. Successivamente sopra l’altare venne posta una
    nuova tela raffigurante la Sacra Famiglia, S. Elisabetta e S. Giovannino, che non influì sul culto dell’epoca, poi infatti la chiesa cominciò ad essere 
    chiamata di S. Eurosia e di S. Giuseppe. Probabilmente, in ossequio ai regnanti lombardi dell’epoca, si volevano unire i due culti indulgendo ad
    una tradizione popolare spagnola, che voleva la leggendaria martire protettrice dei frutti e della terra contro le tempeste ed i tuoni, propiziatrice
    di benefica pioggia. Restaurata più volte, come risulta dai documenti relativi alla visita pastorale del 1674 e dalla data “1748” incisa su un mattone 
    del pavimento, si presenta a noi oggi con una struttura semplice e corretta: facciata a mezzogiorno, soffitto a volta ed una minuscola sagrestia.
    Nel 1970 vennero asportati l’altare, la balaustra e i mobili della sagrestia, tutti in noce del Seicento, per renderla più moderna ed accogliente.
    Da allora però, venne ridotto notevolmente il numero dei salariati del cascinale e la chiesetta rimane oggi soltanto come testimonianza di fede
    e come monumento alle vittime della peste.
  • Lungo la via Valle, in luogo campestre, si erge una cappelletta dedicata a San Bartolomeo.
    Quando venne eretta, e secondo quanto testimoniato dai documenti relativi alla visita pastorale del 1624,
    era una chiesa di piccole dimensioni: l’oratorio si presentava lungo 10 metri, largo 5 e alto 7, con una navata dal soffitto a volta ed una
    cappella con altare ornata e dipinta posta sul fondo della stessa. L’attuale cappelletta, che è quanto rimane di quella piccola costruzione, 
    è costituita da un piccolo atrio e da una nicchia, nella quale, intorno al 1930, fu posto un bassorilievo raffigurante S. Bartolomeo legato
    a un albero e in atto di stramazzare al suolo, opera dello scultore Giacomo Grippa. Un'iscrizione sovrastante la nicchia ricorda il numero
    dei morti di peste, in parte inumati qui, a S. Eusebio, a S. Valeriane e anche altrove (i morti delle cascine si seppellivano presso le vicine cappelle).
    La devozione a S. Bartolomeo è rimasta viva per molti anni e non si è ancora spenta, come dimostra il recente restauro del minuscolo sacello. 
    Nel giorno della festa del Santo tuttora viene celebrata una Santa Messa.
  • Nel 1839 fu progettata l’attuale chiesa di S. Eusebio, in risposta alla sempre più forte esigenza di disporre di un oratorio più degno.
    Nel 1833 infatti, come attestato dalla lettera che l'arciprete di Caravaggio, don Giovanni Dapri, scrisse al vescovo di Cremona per
    chiedergli di autorizzarlo a benedire la parte aggiunta al Cimitero vecchio della parrocchia, quest’ultimo si era espanso già del doppio; 
    esso accolse intorno a sé numerosi resti mortali delle varie epidemie. La piccola costruzione, esistente già all'inizio del Seicento,
    antichissima e cadente, ricostruita con le offerte degli abitanti di Porta Seriola nel 1624, si presentava non sufficientemente degna.
    Venne così progettata dall’architetto Carlo Ranzanigo l’attuale struttura della chiesa di Sant’Eusebio,
    la cui costruzione fu promossa dal Comune e dall'arciprete don Giovanni Dapri, che "ingenti somme versò in questo Cimitero",
    come dice una lapide murata a lato del tempio. Restaurata negli ultimi anni si presenta ai nostri occhi con la seguente struttura:
    sul piano rialzato della bella facciata neoclassica, in centro a quattro edicole minori, si trova l'avancorpo dell'atrio a tre arcate, 
    oltre il quale si apre il piccolo grazioso tempio. Nulla è sacrificato di ciò che può rievocare la serietà e l'armonia del dorico, 
    dalle colonne alla trabeazione al timpano e alla stessa cupola, nemmeno i tre Angeli ritti sugli acroteri al posto di semplici antefisse.
    Ma l'eleganza si accentua all'interno: un vano quadrato che sfonda nel semicerchio della cappella, e nel quale le paraste e le quattro 
    colonne uscenti agli angoli portano altrettanti archi e la cupola trapunti di rosoni incassettati, e tracciano i pennacchi. La decorazione plastica è rigorosamente aderente allo stile dell'edificio, compresa la statua marmorea della Fede sopra l'altare. Vi si intona pure la decorazione pittorica, 
    sia per esserne coevi gli autori, sia per il comune afflato. Del 1841 sono gli affreschi nei pennacchi di Enrico Scuri con i profeti Malachia,
    Isaia, Gioele, Geremia; del 1842 sono invece le vetrate opera di Giuseppe Bertini nei lunettoni laterali e nel tondo del lucernario,
    rispettivamente: Ezechiele, visione della risurrezione dei morti; Ezechiele, visione del nuovo Tempio; Gesù redentore.
    La prima vetrata rimase semidistrutta dal nubifragio. Nel lucernario restano soltanto le liste di contorno della figura.
    Nello stesso 1842 Giovanni Moriggia affrescava, nel catino dell'abside, il grande Compianto di Cristo. 
    Il titolo di S. Eusebio viene dal nome del monaco cremonese, amico e discepolo di S. Girolamo, il cui culto si era diffuso in tutta la Lombardia.
    Nel 1645 sopra l'altare dell'oratorio caravaggino era posto un affresco con la Vergine, S. Eusebio e S. Imerio, 
    che nel 1674 venne sostituito da una tela con la Vergine e il Bambino tra l'arcangelo S. Michele e S. Eusebio. 
    Importante è ricordare che il 24 marzo 1724 vi morì l'eremita Bartolomeo Marchetti, in concetto di santità,
    ricordato con venerazione dal parroco d'allora don Antonio Crivelli e dallo storico Cesare Cantù,
    nonché dalla popolazione di Caravaggio.

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